Di Davide Di Giorgio
Riscoprire dopo più di trent’anni la prima opera rock italiana significa rendersi conto della estrema vitalità di un cinema più spregiudicato di quello attuale, afflitto da una medietà e da una costante ricerca del consenso di massa oltremodo inquietante. Eppure, anche se rapportato al cinema di ieri, il film è contemporaneamente dentro e fuori i meccanismi produttivi dell’epoca, risultando un oggetto che sembra letteralmente venire dallo spazio

Renato Zero e Tito Schipa Jr.
Non poteva esserci chiusura migliore per una Mostra di Venezia che ha dedicato ampia parte del suo programma a una interessante mappatura del cinema italiano di oggi e di ieri: nel riscoprire Orfeo 9, particolare opera rock realizzata da Tito Schipa Jr. (nipote dell’omonimo tenore salentino) nel 1973 per la televisione e dimenticata per anni, sembra infatti di assistere a una chiosa della retrospettiva “Questi fantasmi”, a dimostrazione di come tanto cinema (e tv) del passato fosse molto più vitale e spregiudicato rispetto a quello del presente che, pur con la discreta qualità dei film presentati in concorso e non, rivela una inquietante medietà, una ricerca costante del consenso di massa che dice di un sistema culturale pavido e troppo poco incline all’azzardo.
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