Di Luigi Costantini

COME HAIR. Tito Schipa Jr., in ginocchio, ideatore e protagonista di Orfeo9, insieme agli interpreti Romeo e Eleanor, con il figlio George. Orfeo 9 è uno spettacolo musciale che si rifà all'esperienza di Hair
«Il nostro modello è Hair», dice Tito Schipa Junior, ideatore e protagonista di Orfeo 9, il musical che da pochi giorni è in scena al teatro Sistina di Roma. «Per questo abbiamo voluto un teatro vero, con un sipario vero e in platea le tradizionali poltrone imbottite. E’ il normale pubblico del teatro che vogliamo aggredire, quello borghese, tradizionale».
Ma a differenza di Hair, in Orfeo 9 non c’è la provocazione del sesso. La storia è quella classica, riportata ai giorni d’oggi. Orfeo, un giovane hippie che abita in una chiesa diroccata chiamata “il paradiso” insieme a un gruppo di amici, si innamora di Euridice. Ma, alla fine, la perde. L’inferno nel quale la sua ragazza rimane per sempre imprigionata è la citta moderna, con il caos, i rumori, lo smog, l’assenza di contatti umani.
Lo scenografo, Giovanni Agostinucci, ha ricostruito gli ambienti servendosi di casse da imballaggio e teloni a vela (per l’abside della chiesa), mentre l’incubo della città-inferno è realizzato da 56 riflettori sulla scena completamente vuota. I personaggi sono vestiti con blue-jeans e maglioni. Una mossa costata in tutto 400 mila lire, anticipate da Sandro Giovannini e Pietro Garinei, impresari del Sistina.
Attori dilettanti. Gli interpreti, 36 ragazzi reclutati tra gli hippie della gradinata di Trinità dei Monti o di piazza Navona, sono tutti dilettanti. Nessuno è mai salito sul palcoscenico. Tutti, però, cantano e suonano almeno due strumenti. Sono ragazzi di otto nazioni: americani, inglesi, messicani, austriaci, francesi, svizzeri, etiopi, italiani. Tra di loro si conoscono soltanto per nome: Bill, Jeanne, Virginie, Paco, George, Eleanor, Romeo. I cognomi non esistono.
I tecnici, gli elettricisti, i custodi del Sistina sono rimasti in un primo tempo infastiditi dall’invasione di questa tribù hippie. Gente che passeggia scalza nel teatro, che si bacia in mezzo alla platea, che dorme sdraiata nei palchi e nei corridoi. Adesso, invece, sono diventati amici e spesso i macchinisti si prestano a fare da balia, durante le prove, ai bambini della tribù.
Nella troupe nessuno ha una paga fissa. Tutti, dagli attori al regista, fanno parte di una cooperativa.
L’unico esperto di spettacoli d questo genere è Tito Schipa Junior, 23 anni, figlio del tenore leccese morto quattro anni fa, che con Orfeo 9 è al suo secondo lavoro. Due anni fa allestì al Piper di Roma un esperimento di nuovo spettacolo, l’Opera Beat, su musiche di Bob Dylan.
Chioma folta, faccia da bambino, sempre a corto di soldi, Schipa vive con Luisa, la vecchia governante del padre che lo ha visto crescere. In giro per Roma lo si vede spesso con Paola Pitagora. Fino a poco tempo fa la sua compagna ufficiale era Penny Brown, un’attricetta che frequentava il mondo dei capelloni inglesi e americani. È iscritto all’università, facoltà di lettere, ma ha dato un solo esame, storia della musica. Gli amici dicono che vuol diventare qualcuno.
Il contestatore cominciò a farlo già a scuola. Nel 1963 fondò al liceo Lucrezio Caro di Roma un giornaletto che fu battezzato Tandem. Cinque pagine dattiloscritte e ciclostilate, settimanali, in cui prendevano in giro i professori, si criticavano le decisioni del preside, si protestava contro le sospensioni ingiuste. «Tandem usciva il martedì», ricorda Schipa. «Ogni mercoledì il preside minacciava di espellermi».
«Forse mio padre non capirebbe Orfeo 9», dice Schipa. «Forse troverebbe il mio esperimento presuntuoso. Ma quello che voglio fare è tentare di ridare alla canzone la sua giusta importanza, sottraendola ai jukebox e riportandola sul palcoscenico. Anche la musica seria colta, anche il melodramma, è nato dalle canzoni popolari. Secondo me, i lied di Schubert sono sullo stesso piano delle migliori canzoni dei Beatles».
La musica dell’Orfeo 9 è tutta originale, scritta da Schipa, da Alberto Dentice e Giovanni Ullu. È del tipo che si definisce “underground”. Per l’occasione i tre autori hanno anche costruito un nuovo strumento, il monokord, riproduzione di un’antica chitarra greca. Il suono, amplificato elttricamente, è monotono e suggestivo.
L’opera si chiama Orfeo 9, perchè è la nona versione musicale del mito di Orfeo e Euridice e anche perchè si ispira a un brano dei Beatles, Rivoluzione n.9. Schipa dice di sentirlo come un fatto autobiografico. «È il rifiuto alla schizzofrenia della mia società d’oggi», dice. «È la mia forma di adesione alla filosofia degli hippie».
Fonte: Panorama
Autore: Luigi Costantini
Data: 02/02/1970
Tipo: intervista