Di Piero Vivarelli
Successo al Sistina dell’opera-beat di Tito Schipa Jr. – C’è più buona musica in 2 ore di questo spettacolo allestito da un gruppo di ragazzi, che in due Festival di Sanremo messi insieme

Il mattatore Tito Schipa Jr. (e Giovanni Ullu NdR).
ORFEO 9, ma il numero non c’entra. Ha solo un significato cabalistico, di buona fortuna dal momento che il nove è un numero perfetto, stando almeno a quanto sostiene il giovane, ma ingegnoso e fervido Tito Schipa Jr. che di questa opera pop, andata in scena l’altra sera al Sistina davanti al pubblico più à la page (ma anche il più schizzinoso) di Roma, è librettista, musicista, regista, nonchè interprete principale.
Ovviamente si tratta del mito di Orfeo, il leggendario “cantautore” trasposto in chiave moderna. Qualcuno dice, anzi, che si tratta della nona trasposizione e da qui il titolo. Può anche essere, ciò che conta comunque è che stavolta Orfeo ed Euridice sono due giovani che vivono in una comune di hippies (o, se preferite, di beatniks come usava una volta, dato che il testo non rivela la precisa filosofia del gruppo) fino a che lei se ne va, attratta dalle lusinghe della civiltà dei consumi che per lui, quando l’andrà a cercare, rappresenta appunto l’inferno della mitologia e della leggenda.
Un tema ovviamente stimolante, anche se qua e là vagamente scontato soprattutto perchè, forse per modestia, Schipa ed il suo collaboratore Mario Fales, hanno scritto il libretto cercando programmaticamente di evitare quella carica di rabbia e di velleità che, forse, sarebbe invece stata un ingrediente necessario, insomma per la sua contestazione, anzichè scegliere un invito alla rivolta alla lotta aperta, Schipa ha preferito l’amore. La qual cosa, probabilmente, gli permetterà di riscuotere l’approvazione anche da parte di quei cosiddetti benpenstanti che diversamente avrebbero fatto pollice verso a questa opera di capelloni.
Del resto, ed è bene dirlo molto chiaramente, lo ha fatto con estrema dignità. In altri termini si potrebbe anche dire che, per intima convinzione, ha preferito scegliere la via della poesia, anzichè quella della filosofia o della rivoluzione. Ed in effetti in Orfeo 9 i momenti sinceramente poetici non mancano, Schipa ne ha soffuso a piene mani tutto l’arco dell’opera con perfetta scelta di tempo, grazie anche ad una partitura musicale indovinatissima, centrata e piena di gusto, realizzata con la collaborazione di Bill Elliott. Da questo punto di vista si può anzi tranquillamente dire che c’è più buona musica in questa opera pop messa su da un gruppo di ragazzi che in due Festival di Sanremo insieme.
Insomma uno spettacolo ricco di fermenti. Finalmente qualcosa d intelligente, di stimolante, diciamolo pure, di nuovo. E non mi si venga a dire che ha il suo limite nei riferimenti a Hair perchè, anche se la cosa può essere vera dal punto di vista dell’ambientazione e di una certa tematica sui giovani (e d’altronde oggi i giovani sono, per grazia di Dio, in tutto il mondo uguali) resta il fatto che illustri precedenti o no, nessuno, dico nessuno, con l’eccezione di un esperimento, ma molto paludato, di Giorgio Gaslini, si era mai sognato in Italia di mettere in scena uno spettacolo del genere. Nessuno, a parte proprio Tito Schipa Jr. che già tre anni fa, aveva messo in scena al Piper un’opera beat sui capelloni romani basando il suo libretto su musiche di Bob Dylan. Questo avveniva molto prima che gli americani facessero Hair. Il noto particolare mi sembra significativo e particolarmente importante se si vuol trovare una collocazione storica all’attuale Orfeo 9.
Ciò premesso e per venire allo spettacolo vero e proprio che ha visto, alla fine del secondo tempo un pubblico osannante, dirò che forse Schipa farà bene a dare qualche robusto colpo di forbice al primo atto, un po’ troppo disteso rispetto al secondo anche per colpa del dislivello acustico, fra le voci ed il sound del complesso.
Trovate sceniche a non finire ed effetti luministici magari anche di origine psichedelica, ma gustosi e sapienti, interpreti tutti nuovi, ma tutti volenterosi e precisi. Ricordiamo, a parte il mattatore Schipa, l’inglese Simon (Catlin NdR), e nella lode ai due accomuniamo gli altri che mi paiono ugualmente meritevoli. Musiche fra il pop ed il free jazz. Insomma con questa opera moderna Tito Schipa Jr. ci ha dato soprattutto uno spettacolo estremamente onesto nella sua intelligenza. Il che dimostra che buon sangue (Tito è figlio del celebre tenore) non mente. Soprattutto quando una tradizione familiare sa evolversi ed adeguarsi ai tempi. Scusate se è poco.
Fonte: Momento Sera
Autore: Piero Vivarelli
Data: gennaio 1970
Tipo: recensione